di Matteo Marino
10 novembre 2014
Destandosi un mattino da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto. Se ne stava disteso sulla schiena, dura come una corazza (…). Sotto i suoi occhi annaspavano impotenti le sue molte zampette, di una sottigliezza desolante (…). “Che cosa mi è accaduto?” si domandò. Non stava affatto sognando. La sua stanza, una normale stanza per esseri umani, anche se un po’ troppo piccola, era sempre lì quieta fra le quattro ben note pareti. (…) “Queste levatacce” pensò ” rendono completamente inebetiti. L’uomo deve poter dormire quanto gli è necessario”.
(La metamorfosi di Kafka nella traduzione di Giulio Schiavoni, grandi classici bur)
Un film tratto da La metamorfosi di Kafka è stato un progetto a lungo accarezzato da David Lynch ma mai realizzato, nonostante avesse scritto una sceneggiatura completa e disegnato gli storyboard di alcune scene.
L’amore di Lynch per Kafka e per questo racconto in particolare è noto, ed è possibile trovarne traccia in molti film: esplicitamente, come nella vera e propria metamorfosi di Strade perdute (Lost Highway) e negli slittamenti di identità di Mulholland Drive e INLAND EMPIRE, o in alcuni particolari più nascosti, come nella tendenza di Rita ad addormentarsi continuamente dopo l’incidente sulla Mulholland Drive, tanto da dire a Betty: “Ho bisogno di dormire. Mi sentirò meglio se dormo. Ho solo bisogno di stendermi… e dormire” come Gregor Samsa pensa: “E se dormissi ancora un po’ e cercassi di dimenticare tutte queste sciocchezze?”; o ancora, nei ricorrenti personaggi distesi sulla schiena, immobilizzati, come capita a Dale Cooper sul pavimento della sua stanza d’albergo all’inizio della seconda stagione di Twin Peaks, o a Alvin sul pavimento di casa sua in Una storia vera (The Stright Story).
Alla lezione di cinema tenutasi lunedì 29 settembre nell’ambito del Lucca Film Festival, ho avuto occasione di domandare a David Lynch quali erano stati i motivi, tecnici, creativi o economico/produttivi, per cui abbandonò il progetto. Ecco come mi ha risposto (grazie a Domenico Zàzzara per la ripresa!). E come gli ho risposto io! Eh eh. Continua a leggere