Lynch/Oz: la recensione dell’appassionato docusaggio (al cinema dal 15 al 17 maggio)

di Matteo Marino
11 maggio 2023

Vi avviso subito: in questa raccolta di cine-saggi curata dal documentarista svizzero Alexandre O. Philippe si parla di Judy. Di Judy Garland, ovviamente. Perché sappiamo tutti quanto David Lynch sia stato influenzato da Il mago di Oz, che può essere considerato il primo film americano fantasy per bambini, la più nota fiaba popolare degli Stati Uniti e – ora è stato dimostrato – la pellicola più influente mai realizzata. Due anni fa i ricercatori dell’Università di Torino hanno analizzato 47.000 film di 26 generi diversi, focalizzandosi sui dati che mostravano nello specifico riferimenti ad altri film, e hanno calcolato che Il Mago di Oz è la pellicola più citata e omaggiata – più di Star Wars, Psycho, King Kong e 2001: Odissea nello Spazio.

Dopo essere passato per la Festa del Cinema di Roma e per il Comicon di Napoli, Lynch/Oz esce nelle sale italiane distribuito da Wanted per un evento speciale di tre giornate: il 15, il 16 e il 17 maggio. Ho potuto vederlo in anteprima e vi consiglio di non lasciarvelo scappare. Ecco perché.

Alexandre O. Philippe, che già aveva firmato i film-saggio The People vs. George Lucas e 78/52: Hitchcock’s Shower Scene su Psycho, per indagare i legami tra il classico del 1939 e la filmografia lynchiana ha diviso il film in sei e ha assegnato ciascun capitolo a un ospite d’eccezione perché lo sviluppasse con sue interpretazioni personali e teorie. Si tratta della critica Amy Nicholson e di cineasti quali Rodney Ascher (che ha realizzato Room 237, il documentario su Stanley Kubrick che probabilmente conoscete), il mitico John Waters, uno dei nomi cardine del cinema indipendente americano(da Pink Flamingos a Grasso è bello – Hairspray), Karyn Kusama (Jennifer’s Body, The Invitation – gioiellino che vi consiglio seduta stante -, Destroyer), Justin Benson e Aaron Moorhead (tra i loro lavori ricordiamo V/H/S: Viral, Synchronic e la regia di due episodi della serie lynchianissima Archive 81 per Netflix, che ovviamente l’ha chiusa alla prima stagione ma vi consiglio di vedere comunque) e David Lowery (Storia di un fantasma – A Ghost Story, Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Peter Pan & Wendy). Mentre le elucubrazioni e i ricordi si accumulano grazie alla voce fuori campo di questi artisti-fan, vediamo decine di frammenti di scene in split screen o in supercut grazie alle quali si dipanano davanti ai nostri occhi collegamenti illuminanti tra Il Mago di Oz, le opere di Lynch e anche film che non ci aspetteremmo, come in un grande puzzle. Senza pretese di esaustività, ma sposando punti di vista molto soggettivi, ritroveremo qui e là molte cose che potremmo aver già notato per conto nostro, assieme a particolari che invece ci sono sempre sfuggiti e saremo lieti di scoprire. Non ci sono particolari affondi critici o rivelazioni, cionondimeno il viaggio è stimolante e perdersi tra tutti questi accostamenti è meraviglioso.

Nel Capitolo 1, Vento, Amy Nicholson azzarda un parallelismo tra Lynch e Dorothy stessa: Missoula del resto non è tanto diversa dal Kansass che si vede nel film, e il nostro David non è altro che un ragazzo della pianura che ha lasciato casa e si è ritrovato catapultato a Hollywood, la fabbrica dei sogni. Soprattutto «Dorothy trascende, va in un altro mondo dove finisce per trovare se stessa e scoprire i suoi “poteri”, e questa è la storia di Lynch stesso, prima di tutto». Un aspetto chiave risiede nel fatto che Dorothy sia trascinata a Oz dal vento, il cui Woooo apre il film ma, anziché essere affidato agli effetti sonori, in quel primo caso è “cantato” da un coro di voci umane, che ha anche senso essendo un musical, ma è un particolare curioso che non avevo mai notato e rende tutto più poetico e inquietante insieme. Proprio a questo vento, che definisce in tanti modi Il Mago di Oz, Amy fa risalire la predilezione di Lynch per il rumore ambientale astratto del vento nei suoi film, quel Woooo ormai definitivamente lynchiano presente anche dove non dovrebbe esserci (una stanza chiusa, per esempio, o mentre inquadra il pavimento della Red Room). «More wind», più vento, è quello che Lynch dice agli attori quando vuole da loro un’interpretazione più misteriosa.

Nel Capitolo 2, Membrane, Rodney Ascher sottolinea come i personaggi di Lynch si spostino da un mondo all’altro, come Dorothy, sia metaforicamente (Jeffrey in Velluto blu “lascia” la tranquilla vita famigliare per entrare nel mondo pericoloso, eccitante e sordido degli adulti) sia letteralmente (Elephant Man che passa dal circo all’ospedale alla società vittoriana), sia metafisicamente (Dale Cooper che accede alla Red Room). Si tratta spesso di un personaggio innocente, buono e gentile che viene catapultato in un mondo strano e crudele, come capita, appunto, alla ragazzina protagonista de Il Mago di Oz. Riconosciamo lo stesso meccanismo in film come Matrix, Forrest Gump, Il Signore degli Anelli: personaggi innocenti che si trovano a esplorare mondi da incubo, e il ritorno a casa diventa nostalgia per un paradiso perduto che forse non c’è mai stato, o è tutto da costruire. Man mano che Lynch va avanti nella sua filmografia, le membrane tra i mondi si fanno più sottili, come capita in INLAND EMPIRE e nel finale di Twin Peaks – Il ritorno

Nel Capitolo 3, Affini, John Waters ci regala delle chicche del genere: «Il Mago di Oz è come la droga per i bambini: li rende dipendenti dal cinema per il resto della loro vita».

Nel Capitolo 4, Moltitudini, Karyn Kusama, osserva che possiamo imparare molto da un personaggio a partire dalla sua realtà (quello che vive Diane in Mulholland Drive) ma possiamo scoprire molto di più a partire dai suoi sogni (in cui è protagonista l’io onirico di Diane, Betty, che ne è la versione ideale e migliore). Ognuno di noi ha dentro di sé moltitudini. Abbiamo tutti dentro un Leone Codardo, un Uomo di Latta, un finto Mago, e così via. Karyn fa risalire inoltre l’ossessione di Lynch per le persone che fanno playback o cantano davanti a un microfono (da Velluto blu a Mulholland Drive, passando per Twin Peaks) a Judy Garland che canta Over The Rainbow, e dalla sfera in cui si palesa la Strega Buona del Mago di Oz, citata letteralmente da Lynch nel finale di Cuore Selvaggio (dove a interpretarla è Sheryl Lee/Laura Palmer), fa discendere sia il volto della madre di John Merrick inscritto in un cerchio in The Elephant Man sia la sfera dorata che racchiude il volto sorridente di Laura Palmer in Twin Peaks – Il ritorno.

Nel Capitolo 5, Judy, Justin Benson e Aaron Moorhead elencano una serie di film consapevolmente o meno debitori del fantastico mondo di Oz (tra cui Apocalypse Now, un viaggio mistico e psichedelico per trovare alla fine, fusi in un’unica persona, sia il Mago sia la Strega Malvagia), trattano il tema del doppelgänger come una sorta di incarnazione del sogno americano vs. il mito americano, nonché ritrovano nella doppia vita di alcuni personaggi lynchiani echi delle due facce di Judy Garland, stella amatissima sullo schermo e donna con molti divorzi e molti problemi nella vita reale, e arrivano a dire, con grande efficacia, che «Il Mago di Oz è stato uno strumento per Lynch per creare un intrattenimento surrealista pop più di quanto lo sia stato Gesù Cristo per registi surrealisti come Jodorowski e Buñuel».

Nel Capitolo 6, Scavare, David Lowery, tra le altre cose, ci invita a riflettere sul fatto che se Il Mago di Oz è un film da sogno, e sui sogni, il suo set è stato un incubo, e questo aspetto secondo lui è inscindibile da una visione consapevole dell’opera stessa e delle sue influenze.

Concludiamo con le parole di Lynch: «Il Mago di Oz è un film che ha fatto sognare il pubblico per decenni. Non c’è giorno che non pensi al Mago di Oz. Ha qualcosa di cosmico che tocca gli esseri umani nel profondo».

Lynch/Oz è come dare una prolungata sbirciatina dietro le tende rosse della creatività di Lynch. Anche se nessun posto è bello come casa vostra, il mio consiglio è quello di seguire il sentiero dorato e di vederlo al cinema assieme ad altri appassionati come voi! Se poi volete “altro vento”, nel capitolo «Non fate caso a quell’uomo nascosto dietro la tenda». Dal sentiero dorato alla Mulholland Drive, contenuto nel mio libro I segreti di David Lynch, troverete un dialogo serrato tra il film di Victor Fleming e uno dei capolavori di Lynch, che considero il doppelgänger perfetto de Il Mago di Oz. Ho avuto la fortuna di poter domandare di persona a David Lynch il perché della sua ossessione per questo cult, e nel capitolo «Parte 8. Come nessun’altra». La ricerca della strada per tornare a casa, troverete la sua risposta e come essa mi abbia guidato per interpretare i suoi film più misteriosi, e il finale di Twin Peaks – Il ritorno. Insomma, non si finisce mai di tornare a Oz, e non si finisce mai di cercare la propria casa.

Buona lettura e buone visioni!

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