Quella volta che tutto andò storto e perciò incontrai David Lynch

di Matteo Marino
25 settembre 2014

Questa foto ha una storia. Ogni volta che le cose non stanno andando per il verso giusto, e una serie di avvenimenti sembra accanirsi contro le mete che mi sono dato – non uno o due ostacoli, ma una catena di imprevisti, uno dietro l’altro, non vi è mai capitato?  – penso al modo in cui ho ottenuto questa foto, e mi sento meglio.

Perché anche gli incidenti di percorso si rivelano alla fine positivi, se si ha l’atteggiamento giusto e si è pronti a cogliere ciò che c’è e non ciò che secondo noi dovrebbe esserci (nota personale: io l’80% delle volte ho l’atteggiamento sbagliato).

La storia di questa foto comincia così: dovete sapere che David Lynch è il mio regista preferito. Nel 2006 collaboravo con diverse riviste di cinema e mi arriva questo invito:

Conferenza
Creatività coscienza cervello

con
David Lynch
John Hagelin
Fred Travis e Donovan

Roma
Venerdì 8 settembre, ore 21
Auditorium, Parco della Musica
Sala Sinopoli, Viale Pietro Coubertin, 30

Sì, David Lynch era il mio regista preferito, aveva iniziato una serie di conferenze sulla meditazione trascendentale e non solo sarebbe stato in Italia, ma nella mia città, e io avevo un invito, un posto riservato tra le prime file!
Ero felicissimo.
Avrei potuto ascoltarlo dal vivo, vedere da vicino per la prima volta la sua famosa capigliatura, forse fargli delle domande se era previsto qualche intervento dal pubblico (sì, era previsto!) e, grazie alla mia posizione privilegiata, alla fine mi sarei fatto avanti per farmi autografare il suo libro-intervista a cura di Chris Rodley, che avevo letto e riletto e letto di nuovo (anche se non sono mai stato un cacciatore di autografi, non ne capisco il fascino). E poi, forse… forse… avrei potuto farmi una foto insieme a lui. Anzi, avevo ottime probabilità di farmi una foto insieme a lui. A pensarci davvero bene, sarei sicuramente riuscito a farmi una foto insieme a lui…

Con quel massimo e improbabile coronamento della serata in testa comunicai al mio datore di lavoro di allora di avere bisogno del pomeriggio di venerdì libero. Lavoravo in una libreria aperta fino alle 22, perciò dovevo chiedere la serata libera e volevo evitare anche il turno fino alle 20, per poter tornare a casa, cambiarmi e arrivare per tempo all’auditorium (traduzione: in clamoroso anticipo). Del resto era la prima volta che andavo all’auditorium,  non conoscevo bene la strada (nonostante improbabili cartelli che la “indicavano” erano disseminati per tutta la città, anche a improbabili distanze dalla meta come fosse lì dietro l’angolo, chi è di Roma lo sa) né la disposizione delle sale. Insomma, volevo fare tutto con calma e bene, anticipare imprevisti.

Il mio datore di lavoro mi accordò il pomeriggio libero. Fino al giorno stesso. Quando mi comunicò che il collega del turno di sera si era ammalato, e dovevo coprirlo io… (un momento di terrore)… fino alle 20.

Non per la prima e non per l’ultima volta nella mia vita desiderai che la scienza avesse dedicato molti più anni e molte più risorse allo sviluppo di un’invenzione che considero fondamentale: il teletrasporto.

In un’ora, col traffico di Roma delle otto, sarei dovuto stare dall’altra parte della città. Nonostante il mio ingenuo ottimismo avesse subìto un duro colpo, non mi persi d’animo: non dovevo rimanere fino alle 22, avevo un posto riservato e un quarto d’ora di ritardo è canonico, figuriamoci, ce la potevo fare! Non sarei stato fresco come una rosa dopo dieci ore di lavoro, ma ce la potevo fare.

Lavorai con quella convinzione, appena incrinata da una leggere ansia, per tutto il giorno. E alle 20 e dieci minuti, in auto, con la strada libera davanti a me, non avevo più dubbi: ce l’avrei fatta, il cattivo umore che mi aveva accompagnato a seguito di quel fastidioso cambiamento di piani era stato come al solito del tutto inutile, esagerato, avrei potuto godermi meglio l’attesa. Con un sorriso bello stampato in faccia, imboccai il Muro Torto.

Una colonna immobile di automobili si stendeva davanti a me. Non era il “solito” traffico. Era successo qualcosa. Era tutto completamente bloccato. Ero imbottigliato in un ingorgo dalle proporzioni bibliche, se mai una macchina fosse apparsa nella Bibbia. Non c’era niente che potessi fare, né strada perduta o alternativa da prendere. Dopo circa trenta minuti di totale paralisi, in cui ero ripiombato nel mio solito umore catastrofista che abbandono a fasi alterne, qualcosa cominciò a muoversi. Molto, molto lentamente, ma almeno non eravamo più fermi. Cominciai a sperare di arrivare a conferenza inoltrata, ma poco male, non era come entrare a film già iniziato. Ce la potevo ancora fare!

La cosa buona era che, per quella sosta forzata, mi ero potuto studiare a menadito la strada da fare sul Tuttocittà. Superato (sempre lentamente) il blocco (causato da non riesco assolutamente a ricordarmi più cosa), feci in una volata. Alle 21.20 o giù di lì ero davanti al complesso progettato da Renzo Piano, che vedevo per la prima volta e che non degnai di mezzo sguardo. Nella mia testa solo un imperativo: parcheggio.

Qualcuno mi aveva sconsigliato di utilizzare quello interno all’Auditorium: aveva prezzi proibitivi, esagerati, ci era cascato una volta, da non cascarci di nuovo. E avrei anche seguito quel consiglio di parsimonia… se non fossi stato in ritardissimo. Per questo non ci pensai su un attimo, imboccai la rampa che portava nel parcheggio sotterraneo dell’Auditorium e… Pieno. Era pieno.

Ormai il nervosismo per tutti quei contrattempi era stato sostituito da una rassegnata ilarità.

Mollai, smisi di correre, e girai per il parcheggio fino ad arrivare a una rampa che portava fuori, sul retro del complesso, dove c’era un parcheggio all’aperto totalmente vuoto, e assolutamente distante dalla Sala che dovevo raggiungere (lo avrei scoperto di lì a poco, perché non avevo la più pallida idea di dove fosse la Sala Sinopoli).

Parcheggiai nel nulla illuminato dai lampioni e ripresi a correre, chiedendo “Sala Sinopoli? Sala Sinopoli?” come il protagonista de Il fiore delle Mille e una notte di Pasolini chiede ossessivamente “Dov’è Zumurrùd?”.

La trovo. Entro in una sala gremitissima, con metà degli spettatori in jeans o minigonna e l’altra metà in giacca e cravatta e abito lungo da sera, e David Lynch non era ancora arrivato. Si scusava, ma era bloccato nel traffico di Roma, sul Muro Torto.

Seduto al mio posto fui invaso da una splendida sensazione di calma. Intorno a me un robusto vociare di tutti quelli che chiacchieravano in attesa, e accanto a me, proprio al posto accanto al mio, un’attrice italiana immobile ad occhi chiusi si impegnava a fare meditazione trascendentale per passare il tempo e sperare di essere notata.

Poi Lynch arrivò, si spensero le luci, e la serata andò benissimo. Lynch era sorridente, disponibile, in forma, capace di rispondere anche ad alcune domande insidiose fatte da un detrattore della meditazione, e fu sbrigativo ma benevolo nei confronti delle pretese di visibilità della stessa attrice seduta accanto a me, emersa nel frattempo dalla meditazione, sicuramente animata da buone intenzioni, ma un po’ fuori luogo nell’alzarsi e porre una domanda infinita che non era una domanda ma una specie di provino pubblico.

Naturalmente, conclusa la conferenza, Lynch fu assediato in un momento da fan più agguerriti e più esperti, e non so come ma potrei giurare che fui superato anche da quelli che stavano in galleria. Non mi agitai: a quel punto era chiaro che Lynch avrebbe firmato autografi, ricevuto fiori, cd, regali e quant’altro, ma non c’era alcuna speranza di farmi una foto con lui, non come me l’ero immaginata.

Diligentemente, aspettai il mio turno. Mi firmò il libro (uno scarabocchio illeggibile che mi conferma nella mia opinione circa gli autografi), gli strinsi la mano, e quasi subito dopo fu trascinato fuori dal suo staff. La serata era finita.

Comunque soddisfatto, vagolai per una mezz’ora nell’Auditorium, finalmente osservandolo, e godendomi il momento, e riguardando le foto che in gran numero ero riuscito a scattare durante la conferenza.

A quel punto mi avviai verso l’automobile, finendo in qualche cul de sac perché non ricordavo esattamente la strada, ma tanto non c’era alcuna fretta.

Tra sali scendi, interni ed esterni in una notte estiva dal clima perfetto, sbucai alla fine nel parcheggio vuoto. Ad eccezione della mia auto e di un’altra, un centinaio di metri più in là. Quattro persone stavano chiacchierando sotto la luce di un lampione accanto alla macchina, avvolti da una luce arancionata al sodio. A quella distanza sembrava un quadro di Hopper. Stavo per entrare in auto, quando qualcosa in quella scena mi parve familiare. Allora capii. Quello era lo staff di David Lynch. La figura al centro del capannello era David Lynch.

A ripensarci ora mi viene da ridere per il modo in cui reagii d’istinto superando i miei blocchi mentali. La possibilità di scattare una foto insieme a lui, che avevo completamente dato per persa, si concretizzò per la prima volta realisticamente.
“Mr Lyyynch!!!” iniziai a correre verso di lui chiamandolo a gran voce. “Mr Lyyynch!!!”.
Immaginate questo parcheggio vuoto nella notte e un ragazzo che corre verso di voi urlando il vostro nome. Solo una persona veramente in pace con il mondo e serena, anziché entrare in un lampo in macchina mentre le guardie del corpo atterrano lo stalker e lo disarmano della macchinetta fotografica, può reagire con il calmo sorriso che mi regalò Lynch al mio arrivo trafelato davanti a lui.

A questo punto del racconto, se non prima, vi è chiara almeno una cosa: il dono della sintesi non mi è stato dato. Ma vengo al punto: se non fosse stato per una straordinaria serie di coincidenze negative – il collega ammalato, il turno allungato fino alle 20, la coda sul Muro Torto che mi ha fatto precipitare nel parcheggio dell’Auditorium che altrimenti avrei ignorato, il fatto che fosse pieno a causa del mio ritardo e quindi fossi costretto a parcheggiare lontano, sul retro del complesso – se non fosse stato per tutto quello che mi aveva ostacolato, se tutto fosse andato secondo i miei piani, non avrei mai messo la mia auto accanto a quella di Lynch, non sarei mai stato al posto giusto per scattarmi una foto insieme a lui – una semplice foto, niente di che, lo so! – che desideravo tanto.  E non sarei arrivato al momento giusto, se non avessi vagato un po’ al termine della conferenza in cerca della macchina, sbagliando più volte strada. A volte perdersi è meraviglioso.

David Lynch e ioLa storia di questa foto finisce così: davanti a David Lynch il mio inglese fa un arrocco nel mio cervello e porgendogli la macchinetta fotografica gli chiedo: “Can you take a picture?”. Lynch guarda la mia macchinetta, la prende, guarda me e un po’ stupito ma incuriosito dall’idea fa per scattarmi una foto. “Of you? Sure”. Dopo un momento di titubanza, capisco che il gesto di porgergli la macchinetta e il mio inglese hanno creato un misunderstanding. Lo fermo, ridendo. “No, no, a picture of us”. Lynch dà la macchinetta a un ragazzo del suo staff, mi mette una mano sulla spalla e ci viene da ridere mentre parte il flash. E questa foto mi è molto cara, nonostante la mia espressione improbabile.

Che poi, a ripensarci bene, pensate che fico se gli avessi davvero fatto scattare una foto di me. Un mio ritratto by David Lynch. Già!
Magari, se a Lucca tutto dovesse andare storto come a Roma, glielo chiedo.

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6 Commenti

  1. Complimenti, non è facile farsi leggere dall’inizio alla fine quando si scrive così tanto. E mi riferisco sia a chi ha scritto l’articolo che a chi ha commentato: grandi. Entrambi.

  2. Bella storia davvero! Anche la mia però è particolare, ma lascio decidere voi.
    Giugno 2013 – sera – camera mia
    Sto tranquillamente parlottando su skype con il mio amico palermitano, Sergio, che puntualmente mi invita ad andare a trovarlo, gli comunico che dopo l’estate, precisamente la prima settimana di ottobre (in concomitanza con la fine del tour estivo del mio gruppo musicale), avrei preso l’aereo e sarei andato a trovarlo.
    Settembre 2013 – sera – camera mia
    Sto nuovamente su skype con il mio amico Sergio e a gli sto spiegando perchè ho deciso di non andare a trovarlo (spese imminenti mi costringono a risparmiare quei 300 euro per i 4 voli totali tra andata e ritorno, no non vivo in Finlandia… solo in puglia, salento!)
    Ottobre 2013 – sera (sabato sera!) – ancora camera mia
    E’ sabato sera e io sto cercando di riprendermi da un fastidioso raffreddore che mi ha bloccato tutta la settimana in casa, la noia mi sta letteralmente consumando e preso dallo sconforto decido di farmi una partita ad Alan Wake (praticamente il gioco non ufficiale di twin peaks) clicco due volte sul launcher del gioco e aspetto, in quel momento la pagina di facebook sullo “sfondo” del desktop si aggiorna e vedo per una frazione di secondo, prima che la schermata del gioco occupi completamente lo schermo lo stato di una nota pagina straniera dedicata al mondo di Lynch e in particolar modo di twin peaks, “Welcome to twin peaks” che dice;
    ” **ATTENZIONE** David Lynch &/$%$ %”$”& /&$()/$ $%/)%&%$ (parole in quel momento poco importanti per me)… PALERMO, ITALY ”
    STOOOOOOP-fermi-tutti!
    Chiudo immediatamente il gioco appena partito e torno a leggere con calma il testo che dice che Lynch sarebbe stato a Palermo il 10 e 11 ottobre per parlare della meditazione trascendentale… respiro profondamente, quasi iperventilo… prendo il telefono in mano e chiamo il mio amico Sergio, gli chiedo se l’invito è ancora valido, lui ovviamente conferma.
    Google – voli: Brindisi Palermo- cerca!
    Lunedì 7 ottobre mattina – agenzia di viaggio
    “Buongiorno, vorrei, voglio… esigo! un biglietto per Palermo… per domani”
    La ragazza un po stranita guarda sul terminale e mi conferma un volo l’indomani da Bari alle 18, lo prendo!
    Torno a casa e nonostante siano solo le 11di mattina preparo la valigia.
    Martedì 8 ottobre – aeroporto di Bari
    Con il madornale anticipo di sole 10 ore inizia la mia attesa in aeroporto… interminabile attesa… molto “The terminal”

    Ore 19 e 12 minuti
    Tocco finalmente il suolo Siciliano, dopo solo 11 ore, sono un po’ confuso, potrei essere a Los Angeles… magari davanti a casa di Lynch a quest’ora, ma va bene così.

    Ore 20 e 30
    Cena Relax con gli amici Palermitani e pianificazione della ricerca di Lynch nei prossimi giorni.

    Mercoledì 9 ottobre – Palermo
    Nonostante lo sforzo madornale, Palermo è troppo grande e noi troppo piccoli, nessuna traccia di Lynch… sconforto

    Giovedì 10 ottobre – Palazzo Steri – Palermo – ore 10 circa
    Io e il mio ospite Sergio siamo a Palazzo Steri dove verrà proiettato un documentario sulla MT e dove nel pomeriggio sarebbe stato presente Lynch. Due miei cari amici, Matteo e Filippo mi mandano un sms per comunicarmi che non verranno (nonostante l’accordo) per via dello sbattimento dovuto al traffico, capisco e li saluto con un “ ci vediamo a pomeriggio con Lynch” 😀
    Ore 10 e 30 La proiezione è in ritardo, una signora ci comunica che stanno tardando perché “Mr. Lynch sta arrivando, e vorrebbe dire due parole” (Fuori programma!!!)
    Svengo, mi riprendo e svengo nuovamente…. mi ri-riprendo respiro e mando un sms ai miei due amici: “sta venendo Lynch! Venite siamo in pochi!”
    Risposta: “Arriviamo!!!”
    Ore 11 Lynch alla fine non è arrivato e gli organizzatori decidono di far partire il video… io guardo ma penso tra me e me “ mo vedi che questo arriva e io sto qui dentro, e me lo perdo” neanche 1 minuto dopo mi arriva un sms da Matteo, che intanto è arrivato con Filippo: “ Lynch fuori esci”
    Cxxxo!!! Mi giro verso Sergio gli dico che c’è Lynch fuori e scappo via, faccio le scale 3 a 3 rischio di rompermi il collo ma non importa… c’è Lynch a pochi metri.. vedo l’uscita… vedo auto, polizia qualche telecamera…ma di Lynch nessuna traccia, mi guardo intorno e cerco con lo sguardo i miei amici, eccoli li! Sulla sinistra, mi incammino verso di loro. A pochi passi dal raggiungerli uno di loro indica col dito alla mia sinistra, mi volto……… c’è lui… il Maestro che parla davanti a una telecamera del Tg3, con un sorriso a 32 denti mi incammino verso i miei amici, “Appena finirà l’intervista…”, penso, “…mi fiondo su di lui” non faccio neanche due passi che Lynch si libera dalla telecamera. Il tempo rallenta… respiro… guardo velocemente i miei amici poi guardo nuovamente Lynch… respiro e con passo deciso mi dirigo verso di lui e con la sicurezza che solo il presidente degli Stati Uniti potrebbe avere esclamo; “Mr. Lynch! (gli pongo la mano, lui ricambia) nice to meet you!” e lui; “Oh, me too”
    Un secondo, due, tre… e realizzo, sto parlando con Lynch, il mio idolo insieme a Kubrick! AAAAAHHHH, con un inglese spontaneo e innaturalmente fluido inizio a parlargli, gli dico che ho preso 2 aerei solo per andare a conoscerlo, che ammiro tutte le sue opere (film, musica, fotografie e quadri… i libri no, ma non gliel’ho detto 😀 ) e lui cortesemente mi ascolta sempre col sorriso in faccia, gli racconto che tutte le sere, tutte!, quando vado a letto vedo twin peaks (a volte solo 5 minuti, a volte una puntata intera, si sono malato) e che non so neanche io più quante volte l’ho visto, e lui gentilissimo continua ad ascoltarmi ma ad un certo punto noto che lui mi guarda con uno sguardo interrogativo come a dire “si ok, ma chi sei? Non ti sei presentato”. Ops! Rimedio subito, mi presento e con un sorriso da ebete gli chiedo se possiamo fare una foto. Lui quasi deluso (riflettendoci per lui potevo essere anche il sindaco di Palermo tanta la sicurezza e la spavalderia con cui mi ero posto) ma sempre col sorriso, un sorriso quasi paterno, risponde; “ Sure!”
    A quel punto mi volto verso i miei amici, che intanto si erano avvicinati, porgo a Matteo la mia macchina fotografica e gli dico tra i denti; “ se sbagli la foto ti ammazzo” di nuovo col sorriso mi sistemo al fianco di Lynch, sorrido come un ebete, sento che lui mi mette una mano dietro la schiena, e mi guarda come a dire “Scusa ma tu non mi abbracci? WTF?”, ma io sono troppo fuori fase abbraccio la mia busta gialla con dentro la maglietta di Bob (in valigia non mi entrava il cofanetto di twin peaks fuck!) e rido.
    Cheeeeeease
    Click
    Neanche lo ringrazio! corro a controllare che la foto sia uscita bene, maleducato!
    Ok, è decente, il mio amico si è salvato.
    Ricambio il favore ai mie due amici e gli scatto una foto a testa, dopo Mr. Lynch si allontana chiamato da qualcuno… sono in estasi, riabbraccio la mia busta gialla, poco dopo un pensiero mi folgora: “Caxxo non mi sono fatto fare l’autografo argh”
    Con Matteo e Filippo decidiamo di aspettare la fine della riunione a cui sta partecipando Lynch, quelli della sorveglianza non ci fanno avvicinare alla porta, maledetti. Ci comunicano che appena Lynch fosse uscito ci avrebbero avvisati.
    Con la coda dell’occhio vedo movimento dall’altro lato del cortile di Palazzo Steri (quei maledetti stanno facendo uscire il Maestro da un’uscita secondaria, pensano di essere furbi… non mi conoscono!) Prendo i miei due amici e con tranquillità li tiro verso Lynch, nessuno ci ha visti! E rieccolo davanti a noi, qualcuno, non so come è riuscito ad anticiparci ma non fa nulla aspettiamo il nostro turno per l’autografo.
    Finalmente tocca a me, gli porgo la maglietta con stampato sopra Bob, lui la vede ed esclama “Booob!” (pronunciato; bhhoob, non trattengo un sorriso) gli porgo il pennarello ultra indelebile che Matteo a portato e lui finalmente mi firma la maglietta con la sua “american spirit” in bocca.
    Poi una serie di foto rubate mentre firma altri autografi,mi permetto di “poggiarmi” a lui in una foto ma ormai siamo amici, David non dice niente. XD

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