di Matteo Marino
26 giugno 2015
La prima stagione di True Detective, serie tv della HBO scritta da Nic Pizzolatto e diretta da Cary Joji Fukunaga, l’anno scorso divenne un cult per via dell’ambientazione, dei personaggi, dei dialoghi filosofici, della regia, della struttura narrativa (un po’ meno per la storia in sé, soprattutto peccato per quel finale un po’ tirato via che non si sofferma abbastanza sui misteri lasciati montare e sulla figura del serial killer).
Per la qualità intrinseca e per alcune affinità di fondo (non per un citazionismo di superficie come è accaduto per Wayward Pines), molti hanno accostato True Detective a Twin Peaks, e lo stesso Lynch ha dichiarato di aver apprezzato molto la serie, soprattutto il rapporto tra i due protagonisti interpretati da un Matthew McConaughey in stato di grazia e da Woody Harrelson. Qualcuno ha visto dei parallelismi tra Carcosa e la Loggia Nera, tra Bob e The Yellow King… Sono fioccati omaggi e divertenti mash-up, come la sigla di Twin Peaks in stile True Detective e viceversa (a proposito di sigle, non perdetevi a fine articolo il video integrale e la traduzione di Nevermind di Leonard Cohen, che mi ha folgorato), e tributi come questi:
Inoltre, non me ne vogliano i fan del mitico Rust o i fan dell’ineguagliabile BOB, ma pare proprio che abbiano lo stesso consulente d’immagine.
Il 21 giugno è andata in onda la prima puntata della seconda stagione, The Western Book of the Dead, diretta da Justin Lin e sempre scritta da Pizzolatto. Essendo una serie antologica, lasciamo la Louisiana e i personaggi che abbiamo imparato ad amare per approdare in una California noir, tra Los Angels e la località fittizia di Vinci, con Colin Farrell, Rachel McAdams, Taylor Kitsch e Vince Vaughn.
Se a mio parere l’episodio regge il confronto con il predecessore, ve lo dico tra poco. Prima veniamo al motivo per cui ne sto parlando in questo blog. Beh, si dà il caso che nella prima puntata siamo stati tutti bombardati da omaggi non solo a Twin Peaks (come il gufo della prima stagione di True Detective, ricordate?), ma a molte altre opere di Lynch. Vediamole insieme.
Qualche piccolo SPOILER per chi non ha ancora visto l’episodio.
Impossibile non notare il cartello “Mulholland Drive”.
Del resto, l’ambientazione urbana e noir di Los Angeles ha una grande tradizione (The Big Sleep, L.A. Confidential…) in cui rientrano alla perfezione sia Mulholland Drive sia Lost Highway. Paul Woodrugh (Taylor Kitsch) è un agente della California Highway Patrol, e la corsa finale nella notte si situa perfettamente a metà tra la fuga di Strade Perdute (vedi immagine) e il ritrovamento a lato della strada di una delle scene più famose di Cuore Selvaggio.
Aggiungo anche un’altra suggestione lynchiana non so quanto pertinente: a me è venuto in mente anche il cadavere con la giacca gialla in piedi nel finale di Blue Velvet.
Tornando a Twin Peaks, la scelta del detective Raymond Velcoro (Colin Farrell) di lasciare al figlio dei messaggi in un registratore (anziché nel suo smartphone) ricorda mooolto da vicino, inquadratura compresa, l’abitudine di un altro celebre detective, un certo Dale Cooper…
Anche se non viene usato il termine shoes, anche qui si parla di scarpe nuove, e come alla Roadhouse c’è tanta buona musica nell’aria.
Mi è sembrato poi molto lynchiano il tappeto sonoro ordito a casa del personaggio di Ben Caspere, molto vicino alle sinfonie industriali di Lynch e Alan Splet per Eraserhead (e infatti Vinci è ripetutamente presentata come una città industriale).
Sempre a proposito di Eraserhead, Michele Saran di David Lynch Italian Forum mi ha segnalato quest’altra suggestione: “L’ologramma del bagno nel latte all’ingresso dell’appartamento di Caspere sembra un souvenir della sequenza dell’amplesso tra Henry e la dirimpettaia”.
Infine, a una prima visione, a me è parso un un gufo quello sul sedile posteriore accanto a Caspere. Ma ancora una volta i gufi non sono quello che sembrano: probabilmente si tratta di un corvo, ma sembra pure un falco, e allora il riferimento sarebbe al classico Il mistero del falco (The Maltese Falcon) diretto da John Huston nel 1941 e interpretato da Humphrey Bogart, Mary Astor, Gladys George e Peter Lorre, tratto dal romanzo Il falcone maltese di Dashiell Hammett. E da qui si potrebbe partire per cercare altri riferimenti che non riguardano il mondo di Lynch.
A parte questi apprezzatissimi omaggi, com’era questa prima puntata? Diciamo subito che il confronto con la prima stagione, che aveva le carte in regola per diventare un cult istantaneo, a una prima impressione è impari. Nonostante questo, una puntata piena di buone premesse. Non priva di evidenti difetti, ahimè. A volte esagerata, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi, che rischiano più volte di sfiorare la macchietta, e nelle cose che “capitano per caso” al personaggio di Rachel MacAdams: 2 parenti coinvolti in 2 casi è un po’ troppo per la mia sospensione dell’incredulità. Altre volte geniale: la graduale “scoperta” del cadavere è un tocco di stile non da poco per mettere in scena in maniera originale la trita e ritrita scena del crimine (The story’s told / With facts and lies dice la sigla, così come la sceneggiatura anticipa e nasconde informazioni). Per ora faccio fatica a inquadrare la trama malavitosa e il personaggio di Vince Vaughn, anche se mi sembra vada verso una direzione “Wilson Fisk” in minore. Bello il finale con le diverse linee narrative che si incontrano e il cerchio degli attori ripreso dall’alto mentre albeggia (peccato per il gioco di sguardi un po’ naif). Insomma, sono curiosissimo di vedere come prosegue la storia per entrare davvero in questa nuova atmosfera e andare oltre la superficie dei personaggi, anche se per ora non si è replicata la magia accaduta in Louisiana.
AGGIORNAMENTO (SPOILER)
La scena più lynchiana però si trova all’inizio del terzo episodio, in quello che è stato definito “il sogno di Velcoro”: lì abbiamo una vagonata di roba in tre minuti, dal Club Silencio, con il sosia di Conway Twitty che canta The Rose in playback (non sviene alla fine, ma comunque quando se ne va se ne infischia del labiale), ai giganti nei dialoghi, fino alla posizione in cui si trova Velcoro, che non può che far venire alla mente le allucinazioni di Cooper nella prima puntata della seconda stagione di Twin Peaks. Qui il VIDEO in questione di tutta la sequenza.
Voglio concludere spendendo due parole sulla sigla che, superata la sorpresa di quella della prima stagione, si conferma per me una variazione sul tema fenomenale sia visivamente (le strade come fasce muscolari, la configurazione del suolo come cicatrici sulla pelle, le silhouette come fantasmi) sia musicalmente. Non mi tolgo più dalla testa “Nevermind” di Leonard Cohen, e qui in basso potete trovare due video che la riguardano: così com’è nella sigla di True Detective 2 e così com’è nella versione originale ed estesa.
Ho chiesto di commentare la scelta della canzone a Yuri Garrett di leonardcohen.it, autore della bellissima traduzione di Nevermind che trovate in fondo all’articolo, e secondo lui si tratta di uno dei testi più criptici di Leonard. Con una sola puntata rilasciata è arduo comprenderne appieno il nesso con la serie. “Tuttavia credo che la chiave sia in quel ‘I was not caught / though many tried / I live among you / well disguised’. Una specie di premonizione” mi ha detto. E ha aggiunto: “Cohen non è nuovo alle colonne sonore, tutt’altro. Io ad esempio me ne sono innamorato ascoltando la colonna sonora di Natural Born Killers (The Future su tutte, ma anche Waiting For the Miracle e la splendida Anthem) e da allora non ho smesso mai di amarlo e studiarlo. Nevermind ha un impianto tribale, ossessivo, ripetitivo – in un certo senso non dissimile da quello di The Future, pur nelle evidenti differenze. Una scelta felice, non c’è dubbio. Spero che Nevermind sia il portone d’ingresso nel meraviglioso mondo di Leonard Cohen per molti fan della serie tv”.
Eccola in tutto il suo splendore.
E qui in versione integrale.
Testo originale e traduzione in italiano di Yuri Garrett di leonardcohen.it
NEVERMINDThe war was lost The treaty signed I was not caught I crossed the lineI was not caught Though many tried I live among you Well disguisedI had to leave My life behind I dug some graves You’ll never findThe story’s told With facts and lies I had a name But nevermindNevermind Nevermind The war was lost The treaty signedThere’s truth that lives And truth that dies I don’t know which So nevermind[canto in arabo] Your victory A record of The games of luck Our law of peace And all of this The High Indifference Names so deep There is no need Nevermind There’s truth that lives [canto in arabo] I could not kill You turned me in This was your heart You serve them well Nevermind The story’s told Nevermind I live it full My woman’s here In places deep [Strofa 1 ripetuta, con canto in arabo inframezzato] The war was lost I was not caught |
NON IMPORTALa guerra è persa Il trattato siglato Non mi hanno preso Ho passato il confineNon mi hanno preso Ma molti ci hanno provato Vivo tra di voi Ben mimetizzatoHo dovuto lasciarmi La vita alle spalle Ho scavato fosse Che non troverete maiLa storia si racconta Con fatti e menzogne Avevo un nome Ma non importaNon importa Non importa La guerra è persa Il trattato siglatoC’è una verità che vive E una verità che muore Non so quale Quindi non importa[canto in arabo] La vostra vittoria Un segno delle I giochi d’azzardo La nostra legge di pace E tutto questo L’Alta Indifferenza Nomi così profondi Non c’è bisogno Non importa C’è una verità che vive [canto in arabo] Non ho potuto uccidere Mi hai tradito Questo era il tuo cuore Li servi bene Non importa La storia si racconta Non importa La vivo in pieno La mia donna è qui In luoghi profondi [Strofa 1 ripetuta, con canto in arabo inframezzato] La guerra è persa Non mi hanno preso |
Testi e voce: Leonard Cohen
Musica: Patrick Leonard
Voce femminile: Dana Glover
Voce femminile in arabo: Donna DeLory
Il testo della canzone è tratto, con modifiche, da “Book of Longing”.